martedì 31 gennaio 2012


Semino il grano
che altri mieteranno
Vivrò per sempre

venerdì 20 gennaio 2012

Haiku


Conosco un luogo
dove per sempre esiste
E' la memoria

Haiku


Giochi di cera
su una candela spenta
Narrano ieri

giovedì 19 gennaio 2012

La fata



Trovo tra i fiori una minuscola fata 
pare che dorma si sarà appisolata? 
Piano la prendo in palmo di mano 
il suo respiro è flebile e strano
apre gli occhi blu come il mare 
apre le ali ma non riesce a volare.


Chiedo al vento che sta succedendo 


triste risponde che lei sta morendo 

oggi alle fiabe non ci crede nessuno 

e allora le fate diventano fumo. 






Domando alle nuvole che posso fare 

ma loro mi guardano senza parlare 

passa un bambino con  sguardo triste 

e lui che le fate non le aveva mai viste 

si siede con me e comincia a cantare 

i fiori intorno vedo danzare. 






Ora nel bosco è tutto un fermento 

tra gnomi e folletti ne conto cento 

sbuca improvviso un arcobaleno 

come un sorriso nel cielo sereno. 

Così lentamente si sveglia la fata 

respirando serena nella fiaba narrata.

mercoledì 18 gennaio 2012

Dimmi marinaio.

Dimmi marinaio degli occhi ricci
 chiedere la stella al Grande Carro
cuciti cielo e mare da un ricamo
il vento a sillabare di ogni onda
il verso, il moto, la canzone inquieta.

Dimmi dello sciogliersi di spuma
sulla chiglia ardita e sopra i sogni
di un orizzonte figli e della luna
assaggiata mentre mischia luce e sale
sul dorso  degli scogli da evitare.

Giornate amare e albe in disincanto
da scrivere sul bordo del diario
quando il tramonto cola sulla sera
_rossa di sangue è spina  nostalgia_
terra sfumava  e tu spiegavi vela.


Dimmi marinaio se hai seguito
suadenti canti col viso di sirena
o se la voce sempre accarezzata
è quella della donna ferma al molo
 tesa all'orizzonte a pregar ritorno.


Chissà se hanno un nome quei gabbiani
confusi tra i bianchi alberi di tela
lo stesso azzurro insieme da viaggiare
gli stessi porti amici dove entrare
le stesse rime per cantare il mare.




Nubi di neve
S'inseguono gabbiani
che scompaiono

haiku di Rosario Morra




Oggi alle tre torni al tuo mare marinaio. Ringrazio la Marina Italiana che ha reso possibile tutto questo e oggi, ufficialmente e con gli onori del caso, farà uscire in mare la motovedetta della Guardia Costiera per spargere al vento le ceneri di mio padre. Non tutti possiamo esserci, Solo due civili possono salire a bordo, e lascio volentieri questo onore a mia madre e mio fratello. Io sono con loro con il cuore e il pensiero, e anche con la parola, qui a rendere omaggio a un uomo di mare, un uomo onesto, mio padre.

Arma l'anima marinaio, E' ora di spiegare le vele per te. Buon viaggio. Ha aspettato tre mesi mamma, ora è pronta a lasciarlo
andare. Forse i gabbiani, a largo stanno aspettando per poter salutare un vecchio amico che, improvvisamente, non hanno visto più. Il mare è mosso oggi, ansioso, pronto a riabbracciarlo, erano amanti loro due. Ciao Pà.

Le ochette

Capita di fare sogni così angoscianti da desiderare che si interrompano all'istante. 
E' così forte la volontà di uscirne da ritrovarsi desti, il ticchettio di una sveglia a scandire il buio e gli occhi spalancati a perforarlo, cercando di intuire i contorni familiari della vita reale. 
Ma per quanti sforzi facessi per svegliarmi, l'uomo davanti a me quella mattina non spariva e continuava a pronunciare parole di cui non volevo comprendere appieno il significato. 
Uscii dallo studio medico stringendo in mano una cartellina verde che pesava come il piombo. Gli ultimi sospiri dell'inverno erano dissipati da una primavera precoce, ma io sentivo freddo. Avevo paura. 
Malciloma maligno al seno destro, niente apparenti metastasi, 6 sedute di chemioterapia ad intervalli di dodici giorni una dall'altra,conseguente radioterapia. 

Il tema dei mesi a venire finiva in _ia. 
Assurdamente, camminando, continuavo a cercare parole che facessero rima con quelle dell'incubo che ancora mi avvolgeva impietoso: nostalgia, malinconia, malattia, via, via, via, volevo scappare via, lontano da tutto e soprattutto da me. 
Ci sono persone che entrano nella tua vita come un vento impetuoso, spalancano le imposte, gonfiano le tende, scompigliano i capelli, poi fuggono lasciandosi dietro solo qualche pensiero sparpagliato sul pavimento. 
Altre bussano e varcano la tua soglia in punta di piedi. Si accucciano in silenzio in un angolo, senza spostare niente e lì rimangono per sempre, semplicemente essendoci, indelebili presenze. 
Notai subito Tania entrando nella sala d'aspetto del reparto di oncologia. Tra quei muri pitturati di un chiarissimo verde acqua che provavano, senza riuscirci, ad infondere serenità, si distingueva tacendo, in mezzo al chiacchericcio confuso di anime che condividendo il dolore cercavano di renderlo meno greve. 
Si era isolata dal gruppo di donne che la malasorte avevo riunito in quella stanza e, proprio perchè silente, scelsi di sedermi vicino a lei. Nemmeno io avevo voglia di parlare e lei non aveva proprio l'aria di voler attaccare discorso con alcuno. 
Il naso affondato in un libro, ascoltava chissà quale musica con le cuffiette di un hi_pod sulle orecchie, e non so perchè mi venne in mente, guardandola, la poesia dell'albatros, uccello maestoso in cielo, essere goffo e impacciato sulla terra. Mai immagine fu più indovinata, ma questo lo avrei scoperto solo più tardi. 
Aveva i capelli neri legati con noncuranza, e qualche ciuffo sfiorava, sfuggendo dall'elastico, le pagine del libro. 
Ci ricoverarono nella stessa camera. 
Diventammo amiche così, mentre il mondo ci crollava addosso. 
Lentamente, tra le notti bianche di gemiti dell'ospedale facevamo entrare l'una nel mondo dell'altra, raccontandoci. 
Campionessa regionale di deltaplano quella miniatura di donna s'illuminava parlandomi della sua grande ala, comprata facendo tanti sacrifici. 

Mi parlava del vento e delle correnti favorevoli che l'aiutavano a volare: quelle termiche che creano bolle d'aria calda e ti sollevano sempre più in alto, le ascensionali che quasi ti rapiscono dalla cima della roccia scelta per saltare, e ti fanno viaggiare veloce in gara con gli uccelli compagni di gioco, persi lassù nell'azzurro. 
Col parapendio si vola anche a oltre mille metri di quota, dove a regnare è soltanto la voce delle nuvole. 
Mi diceva di chiudere gli occhi e di immaginarmi al mare, in un pomeriggio di vento. 
Con le parole, mi disegnava quelle piccole increspature che si formano a fior d'acqua e s'inseguono ridenti. Si chiamano "ochette" e, se le nuvole sono le compagne di gioco, loro sono le consigliere dei parapendisti. 
E' guardando la direzione e la velocità del loro incedere che si intuisce quanto sia buono quel giorno per volare. 
Io, da parte mia, la portavo tenendola per mano nel mio universo fatto di colori. 
La pelle nuda che si trasformava in opera d'arte era la mia passione. Spiegavo, con fervore, come parlassi con la persona che dovevo tatuare, per ore. 
Prima di cominciare volevo conoscerla almeno un po’, dipingerle addosso qualcosa che fosse già parte di lei. 
Le descrivevo la magìa che avevano per me i fiori che mi adornavano un braccio leggeri o come le avrei fatto nascere sulla schiena le ali, se un giorno me lo avesse permesso. 
Lei mi guardava rapita e mi faceva segno di si con la testa. 
Anche nel tempo più infingardo sono celati doni preziosi. 
L'amicizia tra me e quella buffa ragazza dal viso d'elfo era uno di quei regali. 
Non parlavamo quasi mai della malattia, non ce n'era bisogno. Ci specchiavamo l'una nell'altra. 
Un tacito patto ci faceva sorridere quando l'altra piangeva, e piangere quando aveva una giornata abbastanza buona per sorridere. 
Tania fu la prima che cominciò a perdere i capelli. 
Un pomeriggio bussò alla mia porta con la morte negli occhi, stringendosi addosso quel lungo ciuffo di chioma come una madre si stringe al petto il figlio malato. 
L'abbracciai, cercando di consolarla e lei si rifugiò fra le mie braccia, cercando di consolare me per quello che sarebbe stato domani. 
Non so come ci baciammo. 
Non so dirvi nemmeno oggi se ci fosse passione carnale in quel bacio, so che fu un bacio d'amore profondo; come una lama di coltello divise la paura in due, come un miracolo moltiplicò per due il coraggio. 
Quanta magia in ogni gesto e grazia e passione, a rendere dolci le amare pillole che la vita sembrava aver voluto serbare tutte per noi; forse proprio per questo, senza domande inutili, ci scaldammo l'anima dentro mille abbracci, nelle notti troppo lunghe. 

Ho un rapporto strano con la fede, che non comprende eteree visioni di angeli in Paradiso. E' ad un uccello splendido che penso, quando scrivo che ora Tania di ali ne possiede due. 
Non sono stata io a regalargliele. 

La primavera è arrivata tardi quest'anno, ha riempito veloce ogni anfratto di mondo, quasi come a scusarsi per averci fatto attendere. 
Sono immersa in un panorama bellissimo. 
Sotto di me si apre il mare, sopra il cielo è un flash di luce. 
A pelo d'acqua migliaia di "ochette", seguono il vento ridendo. 
L'istruttore mi guarda mostrando il pollice alto 
Siamo sotto la stessa ala. Lui è tranquillo, io un po’ meno. 
Chiudo gli occhi e salto. Li riapro e sto volando.

martedì 17 gennaio 2012

Il marinaio


Mi avvolgo nel silenzio di questo luogo asettico per nascondermi alla paura che con le sue gambe lunghe m'insegue da giorni.
La trovo nascosta in ogni anfratto, soprattutto qui, dove niente mi distrae.
Mi hai chiamato Mamma stasera, mentre ti cambiavo il pannolone e sorridevo raccontandoti annedoti buffi che tu non capivi.
Ma sono sicura che il suono della mia voce ti entra dentro, da qualche parte, e qualche cellula sparsa la riconosce e si fa accarezzare.
Un'infermiera è entrata mentre ti mettevo al corrente che le svendite sono cominciate, perciò di non lasciar in giro la carta di credito a portata di nipote.
Mi ha detto che non importava che chiaccherassi tanto, che tanto non potevi comprendere, che il danno mentale è irreversibile e che le mie parole per te sono solo rumore.
Ho voglia di gridare adesso, di correre a perdifiato sulla spiaggia deserta urlando tutto il dolore che ho dentro, perchè esso si confonda col ruggire del mare agitato.
Ho voglia di raccogliere le onde e portarle da te, perchè insieme possiate ricordare i tempi di chiglie abbracciate o maltrattate dalla loro danza.
Ho voglia di passeggiare sulla riva e raccogliere le conchiglie grandi, quelle che ripetono la musica del mare.
Ho voglia di andare al porto ad attenderti, mano nella mano con mamma, ansiosa di ricevere il regalo esotico che sempre mi portavi da ogni porto nel quale buttavi l'ancora.
Mi hai insegnato che il faro è una voce amica, che aiuta i marinai a tornare a casa, che il suono insistente non deve dare fastidio e io ora lo accolgo come la più dolce delle ninna nanne quando lo sento, e sorrido quando non lo sento, perchè vuol dire che non c'è nebbia.
Per questo io non smetterò di parlarti, perchè un faro è vitale, necessario, e io sono sicura che la mia voce, nelle tenebre che ti circondano, ti fa da guida.
Sai cosa? Domani porto anche l'Hi_pod, ci mettiamo una cuffia per uno e col volume basso basso ci ascoltiamo insieme le canzoni che ti piacciono tanto, marinaio.




















lunedì 16 gennaio 2012

Palindrom_ira

Anche un argomento serio come la violenza sulle donne può essere discusso con un palindromo, tutto va bene per protestare contro questa piaga che da sempre ammorba l'aria:

Palindrom_Ira.



E' l'ora per udire, 

seri, 
dure parole. 
Or amara maledico 
velata nera notte. 
Male! 
E cari amici 
le fanno danno, 
Dama, 
Madonna,
Donna, 
Felici. 
Ma ira c'è. 
E la metton 
arenata 
le voci 
de l'amar amaro. 
E' l'ora per udire
seri, 
dure parole.

Rosa d'inverno


Anche d'inverno può fiorire una rosa.

La guarda di vento un alito
sillabare al gelo il suo splendore
tra la neve orma di sangue
tra i rami brulli un cuore
tra nubi nere un sospiro lieve.

Anche d'inverno può fiorire una rosa
forse solamente un'eco di poesia
briciola di sogno di una fata stanca
dall'ali pronte a accoglier Primavera-

Foglie e parole


Non si muova una foglia
che pensiero non voglia
e se parola è la foglia
io sono il ramo
e lei la mia figlia.
Autunno mi spoglia 
poi che meraviglia 
primavera m'abbiglia 
e ancora scompiglia 
si sbroglia m'imbriglia. 
Può essere scoglio
oppure s'un foglio 
può vivere meglio 
non farla sbadiglio 
fa che non sia raglio 
lascia che abbagli 
per render pariglia 
trasformala in maglio. 
Con ciglia leggere 
dalle il risveglio 
d'un letto di paglia 
seta e ciniglia 
in un campo di miglio. 
Scaglia la freccia
ride spigliata 
dorme svogliata 
punta di guglia 
formaggio che caglia. 

Parola è la foglia 
il vento sfarfuglia 
audace la sfoglia.

lunedì 9 gennaio 2012

E giunge sera


Mi arrendo al bacio perfido del tempo
senza lottare più contro l'autunno
 _ora lo indosso vestendolo al contrario_.
 Nelle notti d'ombra cerco accenti d'ambra 
sulle braci spente invento un fuoco 
per scaldarci l'anima a bocconi.

Ecco il ghiaccio sciogliersi sulle ferite fresche
e quelle antiche non meno dolorose.
Eccolo il mio sangue
non più rappreso su spine senza senso
fiume in piena scorre e pulsano le vene
e galoppa il cuore verso l'ignoto
-pur se paura trema non  trattiene-
perchè il destino è amico di chi osa. 
Anche d'inverno può avere un senso il sole
esiste un fiore che per un suo sorriso buca la neve
chi sono allora io per rifiutare questo raggio ardito
che arricciandosi al mio seno l'ha scaldato?

E il giorno
rincorrerò la luce negli angoli dei rami
rubando le foglie al vento e ricamando onde
su una terra arida che ora_ se tu l'ascolti- ride
fiera delle rughe usate come zolle
dove riposa seme e ancora nasce vita.

Dammi i pennelli vita
dammi i colori
ci sono cerchi sulla tela da riempire
Dammi l'ago di una bussola impazzita
ci sono squarci sulla pelle da cucire.
Dammi i sogni racchiusi dentro i sassi
ci sono tagli sulla terra da guarire.

E nascerà domani un'ora zingara
danzata al ritmo audace dei momenti
strappo l'orlo sdrucito dei miei anni
per allungarli sulle cosce snelle
come s'allunga l'ombra sopra il prato
per preparare i fiori a dolce sera.
 Mi canto innamorata di me stessa
tenendo stretta l'ultima innocenza
ebbra della musica che sento
attraversare un muro che diventa cielo.


_vanesia io per un giorno solo rosa_










lunedì 2 gennaio 2012

ERO IO QUELLA


Ero io quella
dagli occhi a nodi svelti
i capelli  ricci  di parole
sciolte nell'inchiostro

 Ero io quella
dai passi furbi a evitare sassi
l'innocenza in tasca a gocciolare piano
nelle buche improvvise del sentiero

Ero io quella
delle notti a perdere
 di albe riempite di follia
dal ventre gravido e stupito
d'essere zolla e insieme seme.

Sono io questa
a rubare fili dal tramonto
per intrecciare conti che non tornano
e finalmente ridere di me col viso in alto.

Mi fingo d'azzurro e sono nuvola
nel bacio di un'alba che scolora.