mercoledì 28 dicembre 2011

Il Tempo


foto dal web



A volte, permettere ai ricordi di scivolarti addosso è inevitabile. 
Lo sferragliare del treno, nella campagna marchigiana colorata d'autunno, li scandisce uno a uno, gocce di miele e di fiele miste alla pioggia. 
Gli occhi di Adele seguono gli alberi spogli, che le sfilano rapidi davanti. Le sembra di scorgere una bambina esile e mal vestita, con sulle spalle uno zaino di tela grezza più grande di lei, all'apparenza troppo pesante per una creatura così minuta.
Quante volte ha percorso quelle colline,dolci e fiere e rotonde come il seno acerbo di un adolescente, quasi di corsa, fermandosi solo ogni tanto per controllare di non essere seguita. 
Da casa sua alla grotta c'erano circa dodici chilometri, ma lei ne faceva quasi venti, tagliando per sentieri improbabili e conosciuti solo ai nativi.


Avevano studiato attentamente il tragitto la sera prima, lei e sua madre, considerando le nuove postazioni tedesche, sparpagliatesi in tutta l'area circostante il podere dalla settimana prima. 
Era pericoloso quello che stava facendo, lo sapeva bene. 
Mamma Rosa le aveva spiegato quali erano i rischi, senza mezzi termini o reticenze.
Non erano tempi per essere dolci, nemmeno coi bambini. Erano giorni bui, nei quali l'unica luce a brillare era la speranza di ritornare liberi, e tutti dovevano impegnarsi perché questo accadesse, perché la libertà è il dono più grande per l'uomo e, senza, nemmeno la vita stessa ha senso. 
Questo le aveva spiegato sua madre, con lo sguardo duro e la pena nel cuore. Gli uomini sulla collina dovevano mangiare e la donna era guardata a vista. Non poteva muoversi o avrebbe messo a rischio la vita di tutti, anche dei partigiani che nascondeva nel rifugio, sotto la botola della stalla. 
Alcuni erano bambini loro stessi, la bocca che puzzava ancora di latte e il mitra in mano. 
Persino Giuseppe e Gino, fratelli maggiori di Adele, non erano più che adolescenti e da sei mesi erano alla macchia con il padre. 
Scendevano a valle nottetempo, per sabotare i carriarmato delle truppe tedesche o appendere volantini sovversivi, stampati clandestinamente nel granaio di Mastro Piero. 
Quelle mattine, quando il paese si svegliava e trovava traccia del passaggio degli uomini, si respirava un'atmosfera più densa, quasi tangibile. 
Ogni volta era un'iniezione di coraggio e sprono a continuare a resistere. 
Perciò Adele non aveva paura. 
Stava facendo quello che doveva,e poi, presto, avrebbe rivisto Mario. 
Anche lui era lassù, con gli altri uomini; per quanto volesse bene ai fratelli e al padre, era a lui che pensava per trovare il coraggio di partire da casa.

Era a lui che pensava mentre impastava le pagnotte di pane e le infornava, alle sue mani che quel pane avrebbero spezzato, alle sue labbra che l'avrebbero toccato. 
Sorrise, Adele, e cominciò a cantare tra quei boschi, col cuore allegro e innamorato e l'incoscienza buona e giusta dei suoi tredici anni. 
Gli inni dei partigiani, imparati a memoria durante le notti passate nella grotta, le fluivano gai dall'anima e dalla bocca; le sue lunghe gambe da cerbiatta incedevano, agili e fiere, per i sentieri impervi, senza sentire la stanchezza. 
Lo sguardo che si lanciò di sguincio nel torrente, china per bere, le strappò un mugugno di insoddisfazione. Era bella, ma non lo sapeva 
Le sarebbe piaciuto un vestito nuovo, magari con grandi fiori allegri e la gonna a campana. 
Bagnò la mano nell'acqua fresca e si ravviò i capelli, con fare civettuolo. 
Doveva sbrigarsi. Gli uomini aspettavano impazienti, per la fame e la preoccupazione. 
In sei mesi era andata da loro ogni due giovedì, e non era mai mancata all'appuntamento. 
Le prime ombre cominciarono ad allungarsi sul prato, quasi a spronarla ad incedere più svelta. Sta arrivando sera, parevano dirle, corri bambina, corri. 
Quando Adele arrivò alla grotta, il tramonto era passato da un pezzo. 
Aveva indugiato un attimo, per godersi lo spettacolo sfolgorante di un sole generoso.
Un crepuscolo magico, rosso e viola ad incendiare il cielo e il cuore. 
Suo padre si alzò dalla cassetta di legno e l'abbracciò forte, sollevandola un poco per darle un bacio. 
Pur godendosi il calore di quell'abbraccio, i suoi occhi andarono ad incatenarsi a quelli di Mario. Il ragazzo abbassò lo sguardo ed arrossì.

Lei non era solo Adele, la ragazzina timidamente baciata l'anno prima; era la sorella e la figlia di uomini che rispettava. 
Un anno. Quante cose erano cambiate in un anno. 
Mario che giocava con Adele alla fontana del paese a schizzarsi e rincorrersi, felici, non esisteva più. 
Ora c'era Mario, il partigiano, il fuggitivo, il criminale. 
Mario che aveva già ucciso un uomo, e poi aveva pianto, mentre un compagno più grande lo guardava serio e non cercava né di toccarlo né di consolarlo. Stava lì, semplicemente, senza nulla dire, perché nulla c'era da dire. 
Mario, che ne aveva ucciso un altro, e non aveva pianto più. 
Poco dopo, nella grotta faceva da padrone il silenzio; gli uomini, sette, mangiavano il pane fresco e ne respiravano l'aroma, avidi, cercando di indovinare quali mani l'avessero impastato. Era il profumo delle loro donne che cercavano, il profumo di casa. 
La forma di formaggio e il vino rosso, forte e corposo, passarono di mano in mano fino a che gli stomaci furono sazi e gli occhi appena velati dall'alcool. 
Era arrivato il momento, per Adele, di rispondere alle domande che le venivano poste. 
Chiedevano dei loro cari e le passavano brevi lettere da consegnare alle madri, alle mogli, alle fidanzate. Erano tutti consapevoli che quelle lettere avrebbero potuto significare la condanna a morte di Adele, se durante il viaggio di ritorno le fossero state trovate addosso, e forse anche la loro. 
Ma a questo non era dato pensare. 
Era il momento di combattere, ed ogni guerra, si sa, ha i suoi caduti. Nella grotta scese di nuovo il silenzio. 
Ognuno degli uomini si era appartato, per aprire le buste che la ragazza aveva loro consegnato. 
Tutte contenevano amore, e rabbia e coraggio. 
Non un lamento veniva spedito a quegli uomini. 
Combattevano su due fronti, per la stessa causa, uomini e donne e bambini e l'uno doveva donare all'altro la forza di andare avanti. Non era facile. 
Adele guardò il padre. 
Stava leggendo, ad alta voce, la lettera della moglie ai suoi fratelli. 
Lui alzò gli occhi e le fece un cenno d'intesa. 
In tempi normali, non avrebbe permesso alla sua unica figlia femmina di allontanarsi con un ragazzo. 
Ma quelli non erano tempi normali, e ogni vita era appesa a un filo. 
La notte era fresca, ma non fredda. 
Il buio totale faceva brillare le stelle di magìa. 
La luna era una falce d'argento, in quel momento ad Adele sembrò una culla. 
Culla erano le braccia di Mario che la stringevano forte. 
Tra un bacio e l'altro, sognavano una casa e almeno tre bambini. 
Sognavano un mondo libero e giusto, ed erano pronti a sacrificarsi in prima persona. Persino il loro amore, così pulito, spontaneo, veniva dopo un ideale che li univa più di quei baci clandestini. 
“Vorrei avere una chitarra” le sussurrò piano Mario,”Per cantarti una serenata, qui, sotto le stelle” 
“ Ti amo tanto,sai?” 
“Anche io, anche io ti amo” 
Il padre di Adele fece capolino dalla grotta. Era il segnale del rientro ed i due ragazzi non si fecero attendere. 
Nel rifugio gli uomini erano già stesi sulle coperte, tranne Giuseppe. Le prime due ore di guardia le doveva fare lui.

Mario gli si avvicinò e chiese di cambiare il turno col suo. 
L'uomo sorrise. Avrebbe fatto anche quello successivo Mario e quello dopo ancora, e lui e Adele sarebbero rimasti svegli tutta la notte a chiacchierare fitto fitto. 
Succedeva sempre così e gli uomini accettavano, bonari, questa soluzione. 
L'alba arrivò improvvisa, scontrosa. Il sole aveva deciso di restare a dormire quella mattina. 
Il padre di Adele guardò il cielo, preoccupato. 
Le grandi nubi grigie borbottavano di pioggia, ma forse erano solo i lamenti di un cielo che già sapeva. 
Con lo zaino vuoto la ragazzina si mise in viaggio, in tasca solo le lettere degli uomini e un pezzo di pane e formaggio; le sembrava di essere infinitamente più pesante, perché portava nel cuore il dolore del distacco. 
Il resto è orrore. 
Insieme alla pioggia, tanti anni dopo, il finestrino di un treno che percorre veloce la campagna marchigiana è appannato dalle lacrime di una vecchia signora che piange silente, col viso appoggiato al vetro e lo sguardo perso tra quelle colline, dolci e rotonde e fiere, come il seno acerbo di un'adolescente. 
La pattuglia tedesca sbucò fuori improvvisa dalla macchia. Non fece nemmeno in tempo ad urlare, Adele, il viso colpito dal calcio del fucile di un soldato che poteva avere cinque, o forse sei anni più di lei. 
Quegli occhi, celesti come il cielo di giugno, sono l'ultima cosa che ricorda. 
Quando il dolore è troppo forte l'oblio vince sulla pazzia, donando un velo pietoso da stendere sulla memoria. 
Deve aver ripreso conoscenza a tratti, Adele, quando tutti gli uomini che amava furono uccisi barbaramente come cani rabbiosi, o quando qualche uomo della truppa nemica pensò bene di violentarla, usando la sua carne innocente come sfregio, lezione, esempio. 
Sangue su sangue, versato a una terra che sangue non voleva e mai ne aveva chiesto. 
Sangue d'agnello versato e che mai, mai potrà essere abbastanza ripagato. 
Deve aver ripreso conoscenza a tratti, Adele, ma non ricorda più che il viso della madre al suo capezzale,seduta seria a guardarla, dura, senza nulla dire, perché nulla c'era da dire, chiusa nel silenzio assurdo di un grido.


Una vocetta infantile sposta di posto i pensieri di Adele. 
“ Nonna, nonna, mi racconti la storia di Nonno Partigiano?”

L'anziana donna si asciuga di nascosto le lacrime infingarde, prende sulle ginocchia la bambina, biondissima, con gli occhi celesti come il cielo di giugno. 
Cerca inconsapevolmente in lei una traccia dell'orrore, poi scaccia il pensiero e con amore infinito comincia la storia: 
“ C'era una volta una collina e un ragazzo che cantava della Libertà...” 
Il treno continua la sua corsa, dando un ritmo cadenzato alla fiaba narrata. Tra le colline marchigiane, dolci e fiere e rotonde, come il seno acerbo di un adolescente, l'ombra di una ragazzina dalle lunghe gambe da cerbiatta continua a correre.

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